Profili Madri di Quartiere: Julia, Brasile


C: ciao Julia, ti va di raccontarci che cosa ti spinge a fare la MdQ? Cos’è per te essere una Madre di Quartiere?

J: eh per me la MdQ è una persona che ha una responsabilità, che lavora con responsabilità e con un desiderio di aiutare gli altri con rispetto, perché lavoriamo con tante persone diverse dalla nostra etnia e quando stiamo aiutando gli altri stiamo aiutando anche noi stessi, e anche da loro noi riceviamo tanto. E’ bella anche questa parte, si tratta di uno scambio, tu stai donando e credo che sia più bello donare che ricevere…

J: eh ricevo tanti grazie, tante volte un abbraccio, tante volte vedo gli occhi che brillano quando le persone mi vedono, come una forma silenziosa di ringraziamento, e dei messaggi di buongiorno alla mattina, e tante volte anche alla sera. Sai, queste cose non sono poco, perché sono persone che non mi conoscono tanto, ci sono stati dei colloqui e degli incontri iniziali, ma non sono persone della famiglia, no non sono persone tanto conosciute e rimango sempre sorpresa della vicinanza e della connessione che sento. All’inizio sono più io che conosco loro e poi pian piano anche loro me, ed è bellissima questa relazione che si crea.

C: e che cos’è che ricevi?

C: e quando parliamo di aiuto, in questo progetto, lo spirito con cui lo facciamo è di aiutare le persone a rendersi autonome, indipendenti. Vorrei che mi raccontassi com’è per te questo cambio di prospettiva, e anche, come si fa ad aiutarle ad uscire dalle etichette e vedere che si tratta di un momento di difficoltà e non sarà per tutta la vita…

J: certo, io dico sempre ad esempio, che una famiglia sta momentaneamente in difficoltà, per far loro comprendere che quello è il momento in cui hanno bisogno, bisogno del mio aiuto, che io gli stia vicino, ma che piano piano anche loro potranno poi lasciare quella parte di difficoltà e iniziare un nuovo percorso. Quando porto loro del cibo non gli porto solo il cibo, in quel momento stanno ricevendo anche il mio affetto e vicinanza perché ne hanno bisogno, ma allo stesso tempo li sto aiutando a cercare un lavoro, perché nel futuro siano loro in autonomia a  procurarsi quel cibo. E’ importante trasmettere anche questa parte, che in quel momento loro stanno ricevendo ma poi potranno iniziare a fare da sé…

C: cerchi di trasmettere il messaggio che sono all’interno di un percorso verso l’autonomia, è così?

J: si, anche quando si tratta di andare in qualche servizio, all’inizio io li porto, li accompagno, fisso gli appuntamenti e cerco la strada, faccio tutto, per arrivare poi a far sì che si sentano tranquilli e possano fare tutto da soli. In una seconda fase continuo a esserci solo come supporto telefonico in modo da dare la sicurezza che possono continuare ad appoggiarsi se c’è qualcosa che non capiscono, questo li aiuta a continuare a camminare, a non perdere la fiducia finchè non hanno trovato il loro equilibrio.

C: grazie Julia. Vorrei chiederti ancora se mi racconti, anche se è un pò difficile da raccontare, quella che è la tua passione, cioè che cos’è la passione per te?

J:( ride) è un po’ difficile in effetti questa domanda.

C: eh si, si…

J: la passione è avere una relazione con le persone e comprendere le loro necessità e allo stesso tempo aiutarle a trovare le loro risorse personali, i talenti, è qualcosa che hanno dentro, non è qualcosa di esterno. E’ qualcosa di interiore che può anche aiutarci a crescere, no? La passione è ciò che mi spinge a fare questo lavoro, a crescere e portare la gioia che sento nello stare vicino a chi è in difficoltà. Mi dà senso e significato.

C: grazie, ancora una cosa se ti va, l’amore che ruolo ha nella tua vita?

J: aaaaah. Dunque per me l’amore è qualcosa di forte e semplice allo stesso tempo. Non è qualcosa che si crea, è qualcosa che  viene da dentro. E’ semplice, viene fuori, come quando pensi di non piacere a nessuno e invece incontri l’amore della tua vita, non so, è qualcosa che coinvolge le persone, il tocco gli uni degli altri e tante volte c’è un amore anche per delle persone che non si conoscono. Tante volte l’amore è anche per persone che non ti aspetti, no? L’ amore è qualcosa di molto bello e semplice perché tu lo doni anche quando pensi di non volerlo donare, funziona così anche nel lavoro di MdQ.

C: e come si fa a coltivare questo amore?

J: il segreto è amare!

C: e come?

J: eh. Seminando. Se semini amore senza aspettarti nulla indietro, ritorna sempre, sempre c’è qualcosa che viene fuori, ed è importante sottolineare che non è che facciamo le cose per ricevere qualcosa in cambio, le facciamo perché è normale seminare, l’amore ha anche questa forma. Si semina e quando meno ce lo si aspetta si riceve, e se non si riceve non importa, perchè si sa che il seme cresce sempre e continua a crescere… 

C: possiamo dire che nella tua vita c’è tanto amore? (ridiamo) 

J: credo di si, tanto, eh tanto. E anche per quelle persone che non lo meriterebbero tanto (ride). E’ importante donare anche a loro, perché tutte le persone hanno bisogno di sentirsi amate, hanno bisogno di sentire che c’è qualcuno che non guarda le loro debolezze, o la forma del loro essere. E’ importante che si sentano amate. Quando accade questo le persone si sciolgono, non si tratta di aspettare che arrivi l’amore di qualcuno, a me sembra che si sciolga quella specie di cappa che oggi vedo in tante persone.  Questa cappa che spinge ad essere forte, che fa sì che non si voglia esser sensibili verso certe cose. Quando sento che riesco a donare amore e queste persone si sentono amate, le cappe si sciolgono un po ‘, qualcosa in loro cade.

C: per cappa intendi qualcosa tipo un’armatura, una protezione?

J: sì vedo che tante persone si mettono questa protezione per tanti motivi, spesso per evitare le sofferenze, ma così tante volte perdono la possibilità di essere amate, perché nascondendosi dietro a questa che io chiamo cappa, si perde l’opportunità di essere amati nuovamente. E questa parte la dico soprattutto per te eh…!

C: si, lo riconosco. Sono commossa…grazie di cuore.

J: ti voglio bene cara.

C: anch’io. Va bene, vuoi ancora raccontare qualcosa o basta così?

J: si, certo.

C: mi piacerebbe sapere se c’è qualcosa, rispetto alle MdQ, che secondo te è fondamentale che venga fuori, che cosa il mondo dovrebbe conoscere rispetto a questo progetto? 

J: per me qualcosa di fondamentale da far sapere è che io già prima di incontrare MdQ lavoravo nel sociale, anche in Brasile, aiutando le persone ma quello che è sostanzialmente cambiato è aver seguito la formazione per diventare MdQ. Prima non conoscevo molti pezzetti fondamentali per diventare professionista nella relazione di  aiuto, mescolavo la mia vita privata ed intima con il lavoro, invece, grazie alla formazione continua, ho compreso come tenere separate le due sfere. Ora aiutare è una professione e ho compreso come le persone sono tutte uguali e diverse allo stesso tempo. Non ci sono distinzioni, la ricerca è del giusto equilibrio fra distanza, protezione e coinvolgimento.

(Autrice: Chiara Bertalotto)

Storie invisibili. Viorela (parte seconda)


Storie invisibili
, sono racconti di uomini e donne che hanno attraversato momenti di difficoltà e, grazie alla loro resilienza personale e all’incontro con il progetto Madri di Quartiere, sono riusciti a trasformare gli ostacoli in opportunità di miglioramento.

L’intento che sottende la narrazione è di rendere reali e visibili delle realtà che altrimenti resterebbero nell’ombra, ciò non solo per aiutare le persone coinvolte, dando loro ascolto e riconoscimento, ma anche per tutte quelle altre persone che  vertono in condizione di disagio senza sapere dove e come poter chiedere aiuto. Sapere e conoscere le storie di altre persone che prima di loro “ci sono passate”, può infondere la fiducia necessaria per iniziare un percorso verso il cambiamento. Non da ultimo l’intento è anche quello di dare l’opportunità a tutti i cittadini di scoprire  mondi sommersi difficilmente contemplati e raccontati dai principali canali del mainstream dell’informazione.

Lo sguardo è di matrice antropologica, uno sguardo sulla vita contemporanea occidentale, dove identità fluide e dai confini labili si vanno incontrando e contaminando, creando relazioni simboliche e cristallizzate in un terreno culturale che si va costruendo insieme. 

Il tema della distanza e del distacco dall’oggetto di studio si mescolano in un relativismo culturale dove l’osservazione e la partecipazione si fondono nella ricerca di comprensione, empatia e condivisione di un’esperienza condivisa. 

L’io narrante in questo caso è (anche) parte della storia, in quanto counselor che ha accompagnato Viorela in un pezzo del suo percorso. La scelta stilistica è quella di non correggere grammaticalmente la sua modalità espressiva per dare pieno valore e attendibilità al suo racconto.

Il contesto di riferimento è Torino, città in cui questa giovane mamma di nazionalità rumena, ha dato alla luce e cresciuto i suoi tre figli. 

Quando ho incontrato Viorela, nel seminterrato di una chiesa adibita a centro di ascolto, era denutrita, provata, e non sapeva che per legge, poteva lasciare suo marito, non sapeva di avere il diritto di poterlo fare.

La norma culturale che aveva appreso nel suo ambiente familiare non consentiva tale libertà.

Cresciuta con un padre alcolizzato “che pestava a sangue la madre”, conosceva solo la sottomissione al volere dell’uomo, capo e padrone indiscusso. Una mentalità che almeno “qui “si pensa sconfitta, almeno nell’Europa “bene”, e che invece è ancora presente e molto viva, è una mentalità che uccide e giustifica la violenza in nome di un bene più grande, i figli. Per la mia storia, ho voglia di dire qualcosa, non credo che i bambini stiano bene con entrambi i genitori a prescindere. Per me, quando c’è violenza, o malessere, l’esempio migliore che un genitore possa dare è quello di cambiare verso il meglio, anche se non rientra nella scatola perfetta promossa da pubblicità cotonate. Credo che per i figli sia meglio vedere nell’adulto il coraggio di una scelta per amore, di sé, della pace e del benessere, piuttosto che sottomettersi e annullarsi in nome di un presunto amore che fa quotidianamente troppo, troppo male. Questa è l’opinione frutto del mio vissuto, che ovviamente, per ragioni deontologiche e morali, ho cercato di tenere lontana da Viorela, per non influenzarla e per non spingerla verso azioni che non sentisse pienamente sue. Silenziando i miei pensieri, ma standole vicino,  offrendole informazioni e indicandole servizi per orientarsi verso i suoi diritti come donna ed essere umano, le ho lasciato lo spazio di trovarsi piano piano, di scoprire la sua forza e le sue motivazioni, dandole solo la mano, accogliendo ogni suo passo e i suoi tempi di evoluzione.

Ammetto di non essere sempre riuscita a mantenere saldi i confini del mio lavoro di professionista nella relazione di aiuto, alcune volte ho lasciato entrare troppo, altre invece, uscire qualcosa in più, in un equilibrio precario, abbiamo attraversato insieme un viaggio alla scoperta del nuovo.

INTERVISTA 

C: So quanta fatica hai fatto, quanta difficoltà c’è stata, 

mi ricordo quando ci siamo incontrate com’era la situazione, e ti vedo adesso, c’è ancora tanto da fare per raggiungere quello che desideri pienamente, ma non sei più quella donna là, sei un’altra persona, adesso, oggi, non trovi?

V: si.

C: questo per me è grandissimo, per me tu sei proprio un esempio di coraggio, un esempio di forza. Mi piacerebbe che anche altre donne potessero vedere e anche altri uomini potessero vedere, perchè hai avuto un coraggio pazzesco, hai un coraggio pazzesco, tutti i giorni per andare avanti e fare quello che fai, ogni giorno. Questo per me è essere esempio…

Se ti va, ci racconti come è iniziata oppure come è finita, come vuoi tu…

V: si, ma non so da dove iniziare…

C: mmmm, forse puoi iniziare raccontando come stavi, o quando hai scelto di dire basta…

V: sospiro e silenzio, uccellini e macchine di sottofondo.

C: ti sembra tanto tempo fa?

V: no

C: ti sembra ieri?…

V: non si dimentica…silenzio.

Si, tutto è partito quando io mi sentivo che non ce la facevo più. Peròooo dovevo andare avanti per,  più per i bambini, pensando che dovevano avere un padre, perché la famiglia, la sua famiglia, dicevano che i bambini non dovevano restare senza un padre come sei rimasta tu da piccola, quindi io avevo paura di pensare che… di scappare di quella vita che c’era, che era una vita bella ma finta…

C: bella fuori dici? 

V: bella fuori ma brutta dentro, fuori casa bella perché tutti pensavano che siamo due, non so come dire due piccioni che si amavano tanto, ma posso dire che io lo amavo, non facevo finta, io lo amavo, però dentro casa cambiava tutto, da quando lui entrava in casa, era proprio cambiato, e questo da un certo momento è cambiato proprio a 360 gradi, posso dire? Anche se dall’inizio lui aveva questo carattere, ma io non mi rendevo conto, non  mi rendevo conto perché io lo amavo e l’ho accettato così dall’inizio, perchè  io pensavo che lui mi amava troppo, troppo. E non riuscivo a capire che lui mi dominava, posso dire?

C: certo. Tu pensavi che lo facesse per il tuo bene?

V: sì, perché lui dopo che si comportava male con me ,mi diceva che mi vuole bene, che mi ama da morire, che sono il suo amore. Non mi potevo immaginare di poter lasciare il padre dei miei figli, non riuscivo a immaginarmi perchè io avevo pure paura di lui, più questo era perchè qui a Torino io sono sola senza parenti quindi eravamo solo lui e la sua famiglia.

C: non sapevi neanche che era possibile farlo..?

V: no, perché ero spaventata io e quando iniziavo a sentirmi molto male le altre mamme dell’asilo dei bambini e mi dicevano di andare a chiedere aiuto ma avevo paura dei servizi sociali. Lavoravo, avevo un contratto di lavoro ma avevo paura, che io sapevo che una madre sola non può andare avanti con i bambini e avevo paura di perdere i miei figli, quindi la mia paura era questa: di non far sentire questa storia ai servizi sociali ma andando avanti, vedendo anche mia figlia E. che stava molto male e trovavo delle lettere, … brutte lettere e io andavo al lavoro, tornavo a casa ma andavo a prendere i bambini stavo bene fuori anche se dentro stavo male. Ma per dire, stavo bene fuori ma tanto sapevo che dovevo entrare in casa, che doveva arrivare lui, già mi crollava il mondo addosso, alla fine, poi alla fine, non non alla fine ma stavo pensando per chiedere aiuto, non sapevo dove andare a chiedere questo aiuto. Poi ho scoperto di questo centro di ascolto però avevo paura sapendo che noi andavamo ogni domenica in chiesa e il prete ci conosceva…

C: ti va di raccontare di come ti sia stato consigliato di rimanere con tuo marito nonostante tu avessi raccontato di subire violenza…?

V: si dopo che ho chiesto aiuto alle signore dal centro di ascolto cioè io mi ricordo il primo giorno quando sono andata ero molto spaventata non sapevo dove andare e non ero depressa non mi sentivo depressa però mi ricordo in quel giorno cosa mi ha fatto decidere di andare a chiedere aiuto. E’ che io ho lasciato i bambini a scuola all’asilo poi dovevo andare al lavoro, attraversando la strada al semaforo io ero ferma però mi sentivo, cioè io sentivo che dovevo attraversare col rosso e mi è capitato due volte in quel giorno, stavo quasi per essere investita, non volevo, cioè non pensavo mai di suicidarmi o queste cose, mai, non l’ho pensato mai però avevo paura di me perché non reggevo più, non riuscivo più a controllarmi e in quel giorno mi ricordo che ho chiamato e ho detto che non vado al lavoro, che stavo male ho detto e sono andata in chiesa a chiedere questo aiuto. Quando sono arrivata lì ho detto le mie prime parole, ho detto sto male e per favore se succede qualcosa con me e prendetevi cura dei miei figli, poi ho iniziato a piangere, mi ricordo che piangevo solo. Loro mi hanno fatto tante domande mi ricordo, tante domande, avevo ancora paura di parlare, non riuscivo a fargli capire che cosa sia successo e poi mi hanno messo in contatto con te, ti hanno chiamato subito, cioè lì in quel momento ti hanno chiamato subito e mi hanno messo in contatto con una counselor.

C: e poi ci siamo incontrate…

V: e di nuovo la mia paura erano i servizi sociali, ero, ero terrorizzata di perdere i bambini poi sono andata a casa, andava molto molto male ogni giorno che passava. Lui era molto cambiato perché tra di noi non c’era più niente, non mi lasciavo più toccare, non potevo più lasciarlo di toccarmi e lui si arrabbiava tanto e boh, tra… beh non so come dire, tra i suoi brutti comportamenti e tante altre cose che lui provava a fare, ho deciso di andare a parlare con il prete della chiesa che frequentavamo. E lui (il parroco), mentre che io parlavo con lui, non so mi guardava, mi ha preso la mano in quel giorno, però mi diceva che lui non riesce a credere perché, visto che mio marito era visto molto buono, molto bravo, ogni domenica in chiesa con i bambini e niente, non mi sono sentita proprio dopo quel colloquio con il prete, dopo che abbiamo parlato mi sono sentita ancora peggio perché ho detto boh, io passo per la bugiarda, sentivo che tutti mi chiudevano le porte, che non mi credeva nessuno a parte la counselor e la responsabile del centro d’ascolto. Su di loro potevo appoggiare il mio terrore, raccontavo che io avevo il terrore di tornare a casa perché lui minacciava, poi le volontarie del centro di ascolto mi hanno dato dei contatti con diversi avvocati, però anche quelli hanno mi hanno spaventato tanto, mi hanno detto di non lasciare il padre dei bambini perché i servizi sociali mi prendono i bambini.

C: quindi diciamo che hai cercato aiuto e non hai trovato il sostegno che speravi? 

V: si ho contattato due avvocati che le stesse cose hanno detto tutti e due, di non fare questo passo perché addirittura uno di loro mi ha detto che lui, quando inizia a comportarsi brutto con me, devo chiudere occhi di fare entrare da un orecchio di farlo uscire dall’altro orecchio…

C: questo ti hanno detto gli avvocati?

V: si, un avvocato. si si eh boh niente.

C: ti andrebbe di raccontare, dire qualcosa di come è stato per te fare queste sedute di counseling, che cosa ha  significato per te fare questo percorso?

V:ah il mio primo giorno di counseling, non ero io, mi sentivo , molto rigida, molto, mi ricordo che piangevo tanto non riuscivo parlare, avevo paura di raccontare un po ‘tutto, raccontavo perché boh,…

C: volevi tirare fuori?

V: sì, volevo tirare fuori, eeeh…sospiro e però andando avanti con le sedute iniziavo a sentirmi un po più tranquilla, aiutata, cioè in senso che mi sentivo, che sentivo che potevo appoggiarmi su qualcuno, che, non sono sola ecco, questo volevo dire, mi sentivo sola però era il mio appoggio la counselor. 

Posso dire che ho iniziato a prendere un po di forze, però 

poche perché non riuscivo ancora a capire che dovevo lasciare la casa, non avevo la forza di capire che dovevo prendere i bambini e lasciare e andarmene via. Poi non so, cosa devo dire? Che lui si è comportato molto male con me, anche con i bambini e li terrorizzava proprio, e sono andata insieme alla counselor dai vigili dopo una serata che lui si è comportato molto male con me, tra le minacce e tante altre cose brutte, io ho avuto la forza di… Per la prima volta nella mia vita di chiamare il 112, e di fronte a lui ho detto, cioè parlavo e chiedevo aiuto, e gli chiedevo di venire subito perché lui minacciava di morte e avevo paura e lui rideva perché pensava che era uno scherzo,come sempre io lo perdonavo, però lui non credeva che io parlavo con i carabinieri, pensava che è uno scherzo. Dopo questa chiamata ho chiamato subito la mia counselor e le ho detto che ho chiamato 112 e di rimanere in linea perché avevo paura che lui mi facesse del male, boh sono arrivati i carabinieri, niente, per lui era sempre un scherzo, uno scherzo, anzi scherzava sempre anche con loro e dopo ha iniziato le minacce e diciamo che quella notte ho riflettuto tanto e iniziavo a capire che la mia vita doveva finire lì. Ogni giorno che passava iniziavo a capire che devo prend… devo avere la forza di scappare, cioè devi prendere bambini e scappare. Perché quella non era una vita, loro vedevano una mamma che soffriva tanto, che piangeva, che non sapeva difendersi, e perché ? Per un un padre che doveva fare il padre solo, niente, giorno dopo sono andata con la mia counselor e abbiamo fatto la denuncia e da lì posso dire che è stato il mio passo, il mio passo più grande,…

C: ho la pelle d’oca a ricordare, sono commossa…

V: il mio primo passo grande perché non ci credevo ancora, avevo paura, tremavo, quando sapevo che dovevo parlare con l’ispettore e poi dopo la denuncia dovevo tornare a casa, no? e avevo paura che lui veniva a sapere che io ho fatto denuncia, poi dopo, non so una settimana forse che, in una settimana sono successe un po ‘di tutto, lui iniziava picchiare i bambini, cioè li picchiava, non ragionava. Parlando, ho chiamato di nuovo l’ispettore che mi ha lasciato il suo numero e le ho raccontato tutto, cioè in quel giorno quando, posso dire?

C: certo!

V: posso dire che era un giovedì tre o quattro di luglio e in quel giorno sono andata al centro antiviolenza e che ho iniziato a collaborare anche con loro…

C: sono i vigili che ti hanno mandata al centro antiviolenza? 

V: sì sono i vigili che mi hanno consigliato di andare anche da loro e raccontare tutta la mia storia per avere un appoggio in più. E quindi sono andata in quel giorno, al tre o quattro di luglio, al ritorno sono andata a prendere i bambini dall’asilo, insieme c’era anche mia mamma che ha lasciato il lavoro (e la casa in Spagna) per venire a stare qualche mese con me perché avevo sempre paura, no? Tornando a casa mentre dovevamo attraversare la strada c’era il mio ex che si è fermato proprio…che era quasi di investirmi, cioè investirmi, me, ma io avevo i bambini con me…

Madonna sembra che ri-vivo, non so questa parte la vedo,  cioè attraversavo la strada ed era proprio vicino di trenta cinquanta metri e non ho visto nessuno quando dovevo attraversare la strada, bom eravamo sulle strisce in mezzo alla strada, sulle strisce e a un tratto una macchina ha frenato e si è fermata proprio vicino a me, cioè io avevo bambini, le manine, gli tenevo le manine, quando ho guardato, ho alzato la testa e ho guardato, era lui, cioè lui, il mio ex, era lui, non riuscivo a credere, ho detto boh lui voleva investirmi, ma subito mi è venuta…cioè i bambini hanno iniziato a piangere perché si sono spaventati, mia madre mi ha detto Ramona non possiamo andare a casa perché…ti ammazza. E io mi sono resa, poi subito mi è venuto in mente,  poi lui è partito no? Noi siamo rimasti in quel posto e mi è venuto in mente, ho detto forse lui mi ha seguito, perché lui mi seguiva sempre, sapeva tutto quello che facevo io, mi ha seguito e ha visto che sono andata al centro antiviolenza e forse lui era un pò, cioè non ragionava più perché ha detto alla fine, ha iniziato a capire che io chiedevo aiuto aiuto aiuto, che non scherzavo più, e questa cosa lo impazziva a lui. In quel momento ho chiamato l’ispettore e ho detto guardi è successo questa cosa in questo momento, cosa devo fare? Ho paura di andare a casa lui mi ha detto non non puoi stare con i bambini fuori o vai ai servizi sociali e non tornate più, vieni da noi fai adesso la denuncia però non tornate più a casa…

C: tu l’avevi già fatta la denuncia?

V: no, non era, una era solo per confermare che sono venuti i carabinieri una sera prima, un giorno prima, e raccontare tutto quello che era successo in quella notte, no? E dovevamo confermare, quindi era questo, io non ho fatto una denuncia di lui che mi stava maltrattando per…è stata solo per quello che è successo quella notte e dopo quella notte sono passati, non ricordo, però poco tempo, pochi giorni, non più di una settimana, pochi giorni quando è successo questa cosa con la macchina e quando l’ispettore ha detto di andare a fare la denuncia, io ho detto no perché avevo paura, che mi devo fare la denuncia e non dovevo tornare più a casa ma mi sono spaventata tanto, ho detto io non posso fare la denuncia perché poi lui mi ammazza, ho paura. Perché? Perché queste paure che avevo e che poi io sentivo anche da fuori, posso dire? Che tante mamme facevano le denunce e non erano… cioè si fermavano alla metà,no? Magari facevano la denuncia e magari poi andavano via, ma poi ritornavano a casa e succedeva di peggio. Cioè le ammazzava, succedeva di peggio e io avevo paura di fare la stessa cosa. Di andarmene via e di ritornare da lui e di succedere il peggio, non mi sentivo molto forte di lasciarlo, no? Mi sentivo legata, ecco legata, posso dire? Niente, e è passato anche quel giorno che era un giovedì…

C: quindi poi tu quella sera sei tornata?

V: quella sera sono tornata a casa, poi mi ha chiamato l’ispettore in quella sera quando sono entrata perché mi ha detto voi andate a casa, io ti chiamo, se lui è in casa e non puoi parlare basta dire, rispondere si o no, e io capisco. Sono entrata e lui ha iniziato a fare delle sceneggiate boh, a parlare molto brutto, a rompere tutto, a sbattere la testa. Bambini già erano spaventati, urlavano, piangevano, c’era l’ispettore e mi ha chiesto, è li con te? Io dico: si. Puoi parlare? E io ho risposto, no, lui ha detto va bene perché l’hanno già sentito, lui continuava a urlare contro di me a parlare, a minacciare e a dire cose che non dovevano sentire neanche i bambini, queste minacce che i bambini poi erano molto terrorizzati.

C: ti minacciava di morte?

V: si, mi minacciava di morte, si. Già che è successo una volta che, per la sua gelosia voleva ammazzarci tutti ero io con lui e con mia figlia più grande, e essendo molto geloso e ubriaco pure, ha accelerato la macchina e voleva…ecco ammazzarci, posso dire?

C: certo. Mentre eravate in macchina?

V: si, mentre eravamo in macchina, lui mi continuava a dire e non te n’andrai con un altro ma non, no, scusa

C: non ti scusare Viorela…

V: si, per la sua sicurezza lui mi diceva sempre, mi diceva che io non lo posso lasciare mai. Non non mi avrà nessun altro uomo ma lui per sicurezza, cioè, dovevo morire con lui, per stare con lui. Non so se vada bene perché mi sento troppo agitata…si mi sento troppo agitata. 

C: mi spiace Viorela, possiamo chiudere qui tranquillamente e andare a prenderci un caffè… 

V: si, no. Niente, quella sera perché sono riuscita a scappare con mia figlia e saltare dalla macchina, boh.

Ma il giorno dopo l’ho perdonato, come sempre, siamo andati avanti così, ho fatto altri due bambini, perché io amo i bambini, io prima di sposarmi ho detto che volevo avere tre bambini, anche se dopo il secondo, già andava quasi male, ma non come… sospiro,boh, siamo arrivati che… per continuare il racconto dopo quella sera che mi ha chiamato l’ispettore, cioè lui sentiva come il mio ex mi minacciava, e io potevo rispondere a lui solo si e no, mi ha detto che chiudiamo qua e per caso se lui doverci scatenarci di più o minacce o …dovrei avere paura di più, di chiamare di nuovo 112, però giorno dopo, venerdì, mi ha chiamato l’ispettore mi ha detto, mi ha dato un appuntamento per lunedì, mi ha detto di andare a raccontare un pò le cose, e io ho subito detto sì, però io non voglio fare la denuncia, lui ha detto: no no ma non farà la denuncia, viene solo a parlare con noi, spieghi come si comporta con i bambini eeeh boh. E’ andata così, è arrivato lunedì, alle otto avevo un appuntamento con l’ispettore e ho portato i bambini all’asilo, sono andata ai vigili, all’ispettore e quando, quando sono entrata lì, da quel momento, mi ricordo ha chiuso la porta, ha chiuso la porta, l’ispettore ha detto, da qui non esci più, da…da questo momento non esci più. Hai capito?

C: e tu cos’hai pensato in quel momento?

V: e io mi sono spaventata, ho iniziato a piangere, mi è preso il panico ho detto no. E lui: da questo momento non esci più, tuo marito è molto pericoloso, non puoi rischiare di lasciarti ammazzata, perché hai tre figli,  devi pensare ai tuoi figli, quindi da questo momento, tu da qui non esci, noi andiamo a prendere i figli e ti portiamo in un luogo protetto. Eeh boh.

C: come ti sei sentita ad ascoltare questo?

V: spaventata, quel giorno, spaventata, anzi ho iniziato a negare, ho detto no no no, ma non,noo, non si può così, io devo andare a casa, devo andare a casa.  Vabbè adesso rido, però rido perché eh già, è passato del tempo…

C: ti fa ridere adesso?

V: eeh sì, perché sto meglio certo. Lo farei ancora all’infinito

C: lo rifaresti?

V: lo rifarei ancora, in quel momento…

C: ho la pelle d’oca…

V: in quel momento non mi sentivo, non mi sentivo così però il momento, quando ha detto chiama tua figlia grande, che lei è rimasta a casa, chiama tua figlia e dille che in dieci minuti andiamo a prenderla, e c’era anche mia mamma, no? Io li ho detto se… li ho supplicati di lasciarmi andare a casa, loro di accompagnarmi a casa, di prendermi il necessario per i bambini,  ma loro mi hanno detto che non vogliono rischiare e sono andati solo loro a prendere mia figlia, la grande, mia mamma, cioè io quando le ho chiamate e ho detto anche, se mi ricordo… ho detto: E. preparati che arrivano i vigili, ci portano via, ma io piangevo, non riuscivo ancora, che mia figlia pensava che io sto, stavo scherzando però, per dire la verità lei non vedeva l’ora di andare via, non vedeva l’ora. Lei mi diceva sempre: mamma guarda in che stato sei arrivata, mamma guarda che stai male, mamma e… lei non vedeva l’ora, a voce l’ho sentita molto spaventata perchè le ho detto: E. hai dieci minuti di prepararti e lei era molto spaventata perché voleva, poverina, prendersi un pò le sue cose, di scuola, di,… però non c’era tempo in dieci minuti di prendersi chissà che cosa, boh si è vestita e boh, è andato a prenderla e poi hanno preso anche i miei bambini piccoli, li hanno portati lì alla polizia, i piccoli erano molto, non erano spaventati e anzi erano felici che son venuti lì con i poliziotti, (scoppia in una risata spontanea di cuore).

Non erano spaventati, poi quando hanno detto che ci portano in un luogo protetto eh sì, la mia domanda è sempre quella, che la faceva un pò dappertutto, era,…mmmm mi ricordo che ho detto, ho chiesto all’ispettore, mi prometti che i servizi sociali non mi prendono i bambini, per favore? Mi prometti? Madonna, mi sentivo, ma innocente, ma veramente (ridendo e commuovendosi), mi prometti che non mi prendono i bambini? Eh sì, beh era una donna, l’ispettore era una donna, posso dire? Ma molto molto molto dura, dura perché lei mi ha detto Viorela, se non la smetti adesso ti do due schiaffi (ridendo tutte e due insieme) e io quando l’ho sentita, ho iniziato ad avere più paura perché non realizzavo quello che  succedeva, non, non. Pensavo che è un sogno.

E’ successo tutto all’improvviso così, senza sapere, senza e quando c’hanno messo in macchina, di portarci in luogo protetto i miei figli piccoli mi hanno chiesto, mamma ma dove ci portano? Dove andiamo via? Dove ci portano? E io non sapevo cosa dirgli, no? E alla fine ha detto eh, ci portano in un posto molto bello, andiamo in vacanza dove sono molti bambini e ci divertiamo, ho detto così e cominciato a piangere…

C: tu?

V: si, e si è girata, mi ricordo si è girata, perché eravamo, erano due poliziotti davanti in borghese, e si son girati mi hanno detto brava mamma, brava, e poi che lui è molto, no, molto…

C: intelligente?

V: intelligente, si i miei bambini posso dire che avevano, in quel momento avevano, il maschio aveva cinque anni e la piccola femmina tre anni e un’altra bambina più grande tredici anni e loro quando hanno sentito che andiamo in vacanza dove sono molti bambini erano molto contenti, e il poliziotto mi ha detto brava mamma, brava. Cioè sono riuscita a…silenzio

C: dargli una tranquillità?

V: si ma io tremavo tutta, avevo una paura tremenda, però volevo stare concentrata su di loro per non farli spaventare. Quando siamo arrivati là e hanno visto che dovevamo fermarci lì a dormire, poi passavano i giorni, passavano settimane, loro non hanno neanche chiesto: ma dov’è papà? Perché non andiamo da papà? Quindi passavano settimane e quando vedevo loro che non chiedevano nemmeno del loro padre, a me mi davano la forza di andare avanti perché ho detto, il padre non gli manca. La mia paura era che i piccoli patiscono, che piangono, che vogliono papà, e invece no. Anzi, dopo un mese ci hanno cambiato il posto, ci hanno messo in un altro luogo protetto, una comunità, e io avevo paura di dire ai bambini che dobbiamo cambiare il posto e che non possiamo andare a casa nostra, ma poi gli ho detto e loro hanno detto ah sì, meno male, poi e tutti e due me l’hanno detto, prima il maschietto, mamma noi non vogliamo tornare a casa nostra dove c’è papà.  Cioè, da quel momento posso dire, ma posso dire, con il mano sul cuore, che ho detto non ho sbagliato, cioè loro soffrivano ma io non mi rendevo conto che lo loro soffrivano tanto, non mi rendevo conto, non mi rendevo conto che, avevano un padre con il nome, cioè con il nome… boh niente.

C: questa è stata la porta per l’inizio di una nuova vita?

V: si. certo. vabbè non ero guarita neanche dopo un anno, neanche dopo due. Adesso che sono tre posso dire, un pò si sono guarita, però anche dopo un anno pensavo che… lo pensavo e che, che magari eh, boh se lui cambia come padre o se lui cerca i figli e vedo un cambiamento, magari vedo veramente che gli mancano, ma niente. Lui ha dimostrato l’incontrario e quindi la mia decisione era quella, ho fatto il primo passo, il secondo, il terzo, però anche adesso mi sento con l’ispettore che loro in questi tre anni ci sono stati ancora dei problemi, non posso dire che non sono stati dei problemi, ci sono ancora. perché è lunga la…

C: il percorso?

V: si è lungo.. 

C: il percorso verso la libertà?

V: sì, maaaaaa la libertà posso dire che ce l’ho adesso che lui è in carcere, ma non non mi sento… però dico il percorso boh, non lo so…

C: di liberazione? o forse di chiusura di questa storia..

V: si, certo non è non è facile, e trovandoti là da sola con i  bambini e avendo paura, tra gente strana, personale strano, ma poi e volendo il bene dei figli, vedendo che loro stanno bene, mi ha dato questa forza di andare avanti, di non girare la testa, di non provarci… almeno dire: sì dai magari gli do un’altra chance… cioè la millesima, posso dire? Più della millesima, posso dire? Ma queste chance non esistono ho detto, se lui vorrebbe fare, dovrebbe fare il padre, doveva fare padre anche fino alla vecchiaia ma… il mio uomo non può più essere, non può più, perché dopo, adesso dopo tre anni, posso dire che mi sono resa conto, conoscendo gente, iniziando a parlare, a sentirmi…mmmm…utile, utile come donna.

C: che hai un valore…

V: si che ho un valore, perché io non sapevo cosa vuol dire, veramente, io non sapevo cosa vuol dire, come mamma si, come mamma si, come le altre mamme, devi fare la mamma, devi fare la moglie,… peròoooooo, tutta lì chiusa che non puoi alzare…, che non puoi parlare con la gente, che non puoi andare a fare, non so una cosa che piace a te, che non puoi uscire,…

C: che non ti puoi nemmeno prendere un caffè da sola, mi dicevi? 

V: si, cioè che non potevo prendermi un caffè, avevo 39 anni e mai preso un caffè al bar, perché? Perché lui era geloso, e io? Perché boh, per non farlo arrabbiare, certo, mi sono abituata così e ho iniziato come dire, a pensare, che una donna non può entrare in un bar a prendere un caffè. Cioè io la pensavo così, non dico di andare ogni giorno a prendere un caffè perché, volevo, vedevo altre mamme, quando lasciavo i bambini all’asilo andavano insieme a prendere un cappuccino, un caffè e parlavano. Io non potevo anche se era solo tra le donne, però è questo che voglio dire, andando, vivendo così ogni giorno è diventata una abitudine e questa abitudine… eeeeeh che la donna ama tanto il suo uomo, no? Come ero io, che io lo sentivo, sentivo lui era tutto, sentivo così, che lui era il mio mondo, lui e i bambini, sentivo così. Per questo è stato molto difficile per me a pensare di lasciarlo o di… non riuscivo a guardare oltre, oltre a pensare che una donna deve essere donna, che deve essere rispettata deve sentirsi utile, deve avere una parola, no? Io, io non ero così, cioè mi sentivo boh, molto timida non riuscivo a parlare a… a fare una conversazione. Ecco, ecco una conversazione, no? Anche al lavoro, andavo al lavoro, posso dire? Che andavo al lavoro, se il marito della signora dove andavo in casa a lavorare, era a casa, e lui veniva a sapere, a casa quando arrivavo la sera lui già mi faceva delle storie, che perché sono entrata se lui era in casa? E quindi questa paura vissuta per tanti anni insieme a lui è diventata una normalità, un’abitudine, trovandomi da sola adesso, cioè come donna volevo dire, con i bambini, no? Una madre sola, non mi scoccia più nessuno (scoppiamo a ridere di sollievo!)

Cioè porto i bambini a scuola, vado a lavorare e se vuoi vai a far la spesa, se vuoi vai al parco per i bambini, ma torni a casa eeee e almeno sai che devi cenare tranquilla, non so, io la sento così, non mi sgrida più nessuno: chi era a casa? Dove sei andata a lavorare? O perché non hai risposto al telefono? O perché sei in ritardo di cinque minuti? O perché ti sei fermata al parco con i bambini? 

C: adesso sei libera di fare quello che senti e non c’è più nessuno che ti comanda…

V: sono libera di fare una cosa normale, no? Come come mamma, come madre, come donna ancora no. (ride). No, non non penso neanche, per me è molto difficile pensare adesso, per me uomini fanno schifo, posso dire? Sono rimasta ancora, posso dire? a livello psicologico, molto… molto… silenzio

C: ferita?

V: molto ferita e io, la vita la vedo, me la vedo da sola come una donna e mamma libera e felice.

C: uau.

V: non riesco, non riesco a uh, non riesco a pensare, ma neanche a ad accettare di sentire un uomo accanto a me e perché boh, magari uno, due su mille, non sono tutti uguali, però per me, in questo momento sono tutti uguali e quindi, una donna può fare…di più di un uomo, cioè io ho fatto tante cose che neanche sapevo che lo posso fare, adesso ho la mia casa, i bambini van tranquilli a scuola, son bravi e intelligenti, ho un lavoro, cosa posso dire? Sono stati anni molto difficili, con il percorso che abbiamo fatto, però ha servito, ha servito anche se dopo un anno dici non non vale, non vale la pena no? Di stare lontano da tutto, non hai più una casa, non hai più… e io non ci credevo che dopo tre anni posso dire, meno male che in quel giorno l’ispettore mi ha detto da questo momento non esci più, ma veramente. (silenzio e uccellini che intonano un canto) cioè, ogni volta che io sento lei, che anche lei mi manda delle mail o dei messaggi, mi chiede, oh Viorela, come va? Tutto bene? Anzi vogliono venire a vedermi la casa, no? Come siamo sistemati e quando le dico meno male che lei in quel giorno mi ha detto V. da questo momento non esce più, addirittura mi ha detto che mi dà due schiaffi, (ridiamo) e lei si mette a ridere, si ricorda che mi ha detto eri un cadavere ambulante, così mi ha detto, Viorela, tu non ti vedi, ma sei un cadavere ambulante e quindi lei ha fatto molto molto molto bene anche per me ma anche per i miei figli, perché se loro non mi fermavano in quel giorno, non so se io avevo coraggio di andare dalla mia propria iniziativa di fare la denuncia, però non vale la pena di stare insieme a un uomo che no, per dire, che i bambini devono avere il padre…

C: non vale la pena?

V: no, non vale la pena se un uomo vuole fare il padre, può fare il padre, però se le cose non vanno bene, i bambini soffrono e sono loro che soffrono di più. Cosa vedono? Una mamma che piange, che è infelice, che non sa difendersi, che si lascia sputata, che loro quando vengono picchiati o non so, la mamma non ha nessun potere di difenderli, di prenderli,… brutti ricordi, brutti ricordi però sono fiera di me, sono fiera di me perché se io in quel giorno non avevo, non andavo a chiedere aiuto al centro d’ascolto e se la signora non mi metteva in contatto la mia counselor, (ride) non so… forse e se, forse e se, mi faccio tante domande, però io sono contenta così, di come sono adesso…

C: uau, grazie davvero.

V: veramente, grazie, ah Madonna mia…

C: basta per oggi!!

V: sì, basta.

Ci salutiamo in un abbraccio lunghissimo sussurrandoci all’orecchio che ci vogliamo bene, ringraziando per questo progetto e celebrando il lavoro fatto insieme.

(Autrice e Photo: Chiara Bertalotto)